IL GRADO ZERO DEL LIBRO

ESPERIENZE TRA ILLEGIBILITA’ E LEGGIBILITA’ PER UN LETTORE EVOLUTO

 

Il Libro costituisce l’oggetto simbolico di una certezza nel suo essere contenitore fisico, depositario tangibile di un sapere che necessita però di una visione dinamica perché non produca cristallizzazione.
 
Seppure abbiamo bisogno di confrontarci continuamente con i libri, siamo chiamati primariamente ad aprirci e comprendere l’esperienziale intorno a tale oggetto e i comportamenti attivabili per ognuno di noi, tra rifiuto, indifferenza, passione e compulsione.
 
C’è un contatto primario che avviene tra l’oggetto-libro e il soggetto che l’approccia. Già nel 1949 Bruno Munari (Milano 1907–1998), artista e studioso dalla natura intensamente fanciullesca, concepisce per la prima volta una serie di libri illeggibili, opere che rinunciano definitivamente alla comunicazione testuale a favore della sola funzione e fruizione estetica, trascendendo la comunicazione del segno e del senso semantico.
 
Munari sceglie la comunicazione della materia in quanto la carta comunica a prescindere da ciò che vi è scritto. La carta, così come qualsiasi altro materiale, si svela primariamente attraverso la propria forma, colore, consistenza, odore. E’ in grado di raccontare una storia a partire dal suo esistere.
 
Qui si parte dalla realtà assolutamente fisica del libro, dalle sue pagine, dalla sua fattura, dal suo primo concepimento concreto. Lo si spoglia portandolo al suo limite estremo in cui potrebbe essere considerato non libro, in quanto senza scritte e senza immagini e dunque inservibile, perché illeggibile.
 
Ma il libro non smette di essere libro se perde i suoi elementi formali che lo costituiscono in senso convenzionale. Ed è proprio dall’essere oggetto pienamente sensoriale che può avviarsi una lettura ad altri livelli, una pura lettura estetica tra tagli, pieghe e spessori che lo animano e lo rendono così francamente oggettuale e vivo.
 
Munari scelse di condurre la sua migliore esplorazione nell’infanzia, ovvero in quel meraviglioso stadio iniziatico che precede lo sviluppo della sovra-strutturazione della mente adulta.
Con una tale operazione Munari, che non dimenticò mai il bambino che fu, sembra volersi rivolgere ironicamente a quei genitori e insegnanti che spesso rimproverano i bambini se si intrattengono unicamente a guardare il libro senza leggere le parole. Ma il libro merita di essere prima di tutto esplorato visivamente.
Così propone un’esperienza trasgressiva, un’infrazione concettuale e strutturale che nasce da una sensibilità speciale.
 
Il libro illeggibile di Munari assomiglia al libro primitivo o al Pre-libro ipotizzato da Maria Montessori, altro genio visionario appassionata studiosa della mente infantile, per quanto orientato verso la multi-materialità sicchè si giunge a un oggetto ibridato. Munari, invece, rimarrà fedele alla carta come materia basica di cui è fatto effettivamente ogni libro.
 
Il libro è uno strumento di conoscenza ad ampio spettro, che dovrebbe alimentare la curiosità e promuovere nuove letture.
Ma spesso l’incontro tra il libro e il bambino lettore avviene in un contesto normativo, in cui questi non sperimenta la libertà di scegliere il libro da leggere, il tempo e la frequenza con cui farlo.
 
Al contrario, il lettore deve sentirsi riconosciuti alcuni diritti fondamentali, come ci ricordano Gianni Rodari e Daniel Pennac e tra questi diritti c’è anche quello di non leggere o di leggere ciò che si vuole, anche saltando le pagine.
 
Munari sovverte il principio che premia il contenuto a scapito del contenitore.
I Libri illeggibili sono contenitori solo apparentemente privi di contenuto; in realtà sono in grado di ospitare tutti gli infiniti contenuti che la mente è capace di generare. Ed è proprio qui che la mente può giocare aprendosi verso la creatività nel determinare il tutto e il contrario del tutto.
Citando Munari, ogni libro illeggibile “è un libro di comunicazione plurisensoriale, oltre che visiva. Fu così che nacquero i “libri illeggibili”, così chiamati perché non c’è niente da leggere, ma molto da conoscere attraverso i sensi” (Bruno Munari, Libri senza parole, in R. Pittarello, Per fare un libro, Sonda 1993).
 
In questa provocazione ispirata a una Poetica della Leggerezza ci si può finalmente interrogare sull’approcciarsi al libro e  si può cogliere meglio la realtà desolante del non-lettore o del cattivo lettore, colui che non ha incluso la lettura tra le pratiche quotidiane necessarie all’essere e alla formazione di sè, che vive il libro e il leggere in modi evitanti e frustranti e si limita a stimare il volume delle pagine.
 
E’ da qui che può nascere un nuovo Lettore, soggetto dinamico, motivato e motivabile al vedere nel libro il veicolo culturale per sè e gli altri, ben consapevole della doppia valenza del libro come luogo metaforico della Cultura, ma anche scrigno di un sapere statico che può rimanere lettera morta e che ha bisogno di un giusto superamento.
 
D’altronde esistono letture necessariamente diversificate per testi diversi, ma spesso esistono frettolosità ingiustificabili intorno al leggere per cui la Lentezza nelle sue diversificate declinazioni diventa la chiave così come l’albero ispirò Munari nel suo essere esplosione lenta di un seme.
 
Munari non smise mai di produrre libri illeggibili lungo tutto l’arco della sua vita dal momento che per lui fu un esperimento che non saziò mai definitivamente la sua curiosità intellettuale.

Nel 1955 alcuni suoi esemplari vennero esposti al MoMA di New York, dove nella Design Collection a tutt’oggi sono conservati 9 modelli.
 
Se Gertrude Stein, poetessa americana, nel suo poema Sacred Emily del 1913 rintraccia l’essenza della cosa nella rosa evocandola pluralmente e magnificamente espressa nel verso “Una rosa è una rosa è una rosa”, nel medesimo modo Munari col suo amato progetto compie lo stesso viaggio con il libro in un processo tutt’altro che ossessivo che si potrebbe sintetizzare con un libro è un libro è un libro è un libro.