GALGANO E SAN GALGANO

LA SPADA E LA CROCE
 
“Nella gioventù egli abbandonò un poco il suo corpo
alle tentazioni della dissolutezza.”
(Rodolfo Pisano, Legenda Beati Galgani)

 

L’Agiografia, ovvero la storia dei santi, per quanto risponda a un bisogno di divulgazione dei percorsi di fede non rende conto dell’intera fenomenologia di persone ispirate e illuminate. In realtà vi è un ampio sommerso. La santità è piuttosto diffusiva e spesso sotterranea e impercettibile così com’è la carità.
Tra gli effetti più apprezzabili vi è la capacità di ristorare l’anima, se non di ispirare la vita di tutti. Al di là della necessità popolare di una narrazione apocrifa che travalica il biblico c’è un nucleo eroico da individuare correttamente per ogni singola figura.

La storia cristiana è fatta di ritratti affascinanti di donne e uomini che operarono in diverse direzioni, in percorsi esistenziali imperfetti, ma straordinari, ponendosi tra l’azione, la predicazione, la meditazione fino al sacrificio umano, in forme che potrebbero apparire a tratti incomprensibilmente masochistici, ma che sono invece forme di intimità con il Divino.
Primo tra tutti vi sarebbe Giuseppe di Betlemme, l’uomo che sposò Maria, nonché padre esemplare. In seguito fu Benedetto di Norcia, colui che iniziò a una nuova idea di vita monastica, Ildegarda di Bingen, la tromba di Dio, teologa e mistica, Francesco di Assisi, giullare di Dio, l’uomo della perfetta letizia ai limiti dell’impossibile, Caterina da Siena, incolta e profonda, Brigida di Svezia, messaggera di Dio, Giovanna d’Arco, la pulzella di Francia, colei che guidò l’esercito francese contro gli inglesi con la sua armatura bianca, Teresa di Avila, riformatrice e dottore della Chiesa.

Il culto dei santi, apparente riedizione del più antico culto pagano degli eroi, esiste da sempre e da sempre le persone hanno creato affezioni speciali con i santi cercando l’intercessione e concentrandosi sulla domanda miracolistica, sviluppando così devozioni talvolta immature che meritano un aggiornamento perchè non si determini un allontanamento dal Divino.

Esistono poi luoghi speciali, disseminati qua e là nel mondo, ancora abitati da genius loci per chi si consente di crederci, talvolta non più antropizzati e per quanto inabitabili in senso ordinario, proprio per questo si fanno ancora più intensamente suggestivi e narrativi. Luoghi apparentemente abbandonati, spogli e spogliati, ma ricchi e arricchiti di quel senso profondo e misterioso che lega l’uomo all’ambiente.
E’ proprio il loro essere stati spogliati materialmente che li rende ricchissimi spiritualmente regalandoci esperienze totalizzanti.

Galgano fu figlio assai desiderato per la sua famiglia nobile di Chiusdino, in Toscana. La madre tardò molto ad averlo, ma poi nacque nel 1148.
Adolescente, perse il padre e ciò segnò non poco la sua vita. Pochi giorni dopo la sua morte sogno l’Arcangelo Michele che chiedeva alla madre di farne un soldato.

Galgano fu tanto superbo e dissoluto quanto santo.
Già cavaliere abbandonò la vita comoda. La sua storia richiama la folgorazione di Francesco di Assisi e Antonio da Padova, giovani uomini dalla vita agiata e dal successo facile, ma chiamati ad altre sfide, sfide con sé stessi e con l’Immateriale.

Per due volte gli apparve in sogno l’Arcangelo Michele, tradizionalmente raffigurato con la spada, lo stesso che la madre pregò instancabilmente per tutta la vita prima perchè avesse un figlio e poi perchè questi conducesse una vita più assennata.
Ma, a distanza di qualche anno, la seconda volta a 32 anni gli chiese di arruolarsi nella milizia celeste, di seguirlo verso il fiume e su un lungo ponte oltre il quale vi era un prato pieno di fiori profumatissimi in cui avrebbe incontrato i dodici apostoli in una casa rotonda, presso un luogo che al giovane parve essere Montesiepi.
Un giorno mentre si recava a cavallo a casa della fidanzata Polissena per accordarsi sulle nozze, gli parve innanzi l’Arcangelo Michele avvolto in una luce abbagliante e con la spada sguainata. Era giunto a Montesiepi.
Qui conficcò la sua spada nella roccia per farne una croce e darsi una pacificazione, si tolse di dosso il mantello e, bucandolo, ne ricavò una veste monacale. Due gesti netti per rimarcare la discontinuità con il passato.
Era nato il nuovo Galgano.

La sua conversione avvenne il giorno di Natale del 1180. Si costruì una piccola capanna circolare in legno.
Né la madre, né Polissena lo persuasero a tornare indietro sui suoi passi. Così anche Polissena entrò in clausura.
Visse l’eremitaggio cibandosi unicamente di erbe. Per lui fu come spegnere e riaccendere i motori passando dall’ardore della guerra al fuoco della meditazione.

Galgano fu vittima dell’invidia umana. Quando si allontanò da Montesiepi per recarsi a Roma a piedi e scalzo per incontrare il papa Alessandro III, tre uomini tentarono di estrarre la spada senza riuscirci fino a che la ruppero, ma facendo ritorno alle loro case furono puniti da Dio e morirono. Uno di loro fu sbranato attaccato da un lupo che gli staccò le braccia. Al suo ritorno quando Galgano avvicinò il pezzo rotto alla roccia la spada miracolosamente si ricompose.
Nella cappella trecentesca aggiunta all’originaria Rotonda, oltre agli affreschi di Ambrogio Lorenzetti, sono visibili in una teca le braccia e le mani di uno degli invidiosi che tentarono di estrarre dalla roccia la spada di San Galgano.

Morì giovanissimo, a 33 anni nel 1181, l’anno di nascita di Francesco di Assisi, a neanche un anno dalla sua conversione.
Ecco cosa scrissero più tardi i suoi frati: “Visse el beato Galgano in questa heremitica vita et conversione uno anno meno due dì; et fu sepolto con grande honore e reverentia ne la detta sua cella, ove poi si fece una chiesa ritonda come l’angelo gli aveva mostrato in visione, ne la quale continuamente gli miracoli sono multiplicati. A laude e gloria del nostro Signore Gesù Cristo, lo quale regna col suo Padre in secula seculorum. Amen”.

Nel ‘900 la spada fu vandalizzata due volte spezzandosi per cui venne fissata con il cemento e protetta definitivamente con una lastra di vetro, a testimonianza della potente fantasia eccitatoria che è stata sempre in grado di sollecitare.

Ma la spada e la roccia evocano anche le gesta mitiche di Re Artù e i cavalieri della Tavola rotonda. Come ebbe a profetizzare il mago Merlino solo l’uomo che fosse stato capace di estrarre la spada, Excalibur, sarebbe divenuto re. Dunque qui si trattò di una storia ascensionale verso la regalità per Artù che entrò in cattedrale con la spada estratta per essere unto con olio santo e proclamato re.
Se Artù estrasse la spada dalla roccia per fare la sua guerra, Galgano vi conficcò la sua per fare la sua pace e attivare l’ascesa verso il cielo. C’è più nobiltà nel domare l’indomito che nell’assecondarlo.

C’è una vecchia abbazia, in Valdimerse, in stile gotico nel bel mezzo della campagna senese senza tetto, svenduto nel 1500, e senza pavimento che però mantiene un fascino speciale. Già location efficace per molti film, fu edificata dai monaci cistercensi nel 1200 e oggi si presenta nella sua essenza decadente.
Fu il primo gotico in Toscana. Ha una pianta a croce latina con tre navate.

E’ proprio qui che oggi il visitatore moderno ha l’opportunità di compiere un piccolo viaggio speciale a piedi, in stile medievale, a partire dal parcheggio dove si può lasciare la macchina, il cavallo meccanico, un esperienza che se è vero che necessita di calma, stimola però una strana frenesia e un turbamento indefinito. Attraverso una strada alberata da splendidi cipressi è possibile sperimentare l’avvicinamento verso l’imponente struttura in mattoni.
Una volta giunti davanti alla facciata non può non destare un certo disorientamento o disappunto vedere la porta centrale chiusa per cui occorre costeggiare lateralmente fino al chiostro per accedervi e finalmente entrarvi.

Così si aprono alla vista, e non solo, spazi suggestivi tra sala capitolare, un ampio scriptorium che rende l’idea del potere e della necessità della scrittura, sempre attuale, e infine l’ampia cattedrale nel cui vuoto ci si perde e si è rapiti, come trattenuti da una forza misteriosa.

Nei secoli la cattedrale fu lungamente avvilita; fu fonderia e fattoria.
Nella sua attuale nudità lascia trasparire i saccheggi subiti, ma anche tutto ciò di cui non è più possibile depredarla, ovvero lo spirito e l’anima, che anzi risulterebbero perfino magnificati.
Oggi tutta la struttura sembra aver guadagnato un’altra dignità e nella sua essenza è diventata un’entità leggera in contatto con il cielo.

Ma ancora più in alto sorge l’Eremo di Montesiepi costruito dove fu la capanna di Galgano, circolare come fu la sua capanna originaria. Il cerchio è un elemento ridondante che disegna, tra l’altro, la meravigliosa geometria concentrica della cupola all’interno. Il tutto ricorda un calice rovesciato.
Di fatti Montesiepi è uno dei luoghi dove si ritiene sia stato sepolto il Santo Graal, ovvero il calice dell’ultima cena.
All’ingresso a terra una lastra medievale, un monito, un memento morti, accoglie il visitatore, ma in realtà, considerato tutto, si tratterebbe più di un invito alla rinascita, la stessa che Galgano compì nel suo trentatreesimo anno di vita.
L’ultimo e decisivo.


PICCOLA BIBLIOTECA TEMATICA


Il Castello interiore TERESA D’AVILA 1577
Il Castello FRANZ KAFKA 1922
L’enigma di San Galgano MARIO MOIRAGHI 2012

 
Nel suo Castello interiore Teresa introduce una suggestiva e potentissima metafora in cui paragona la vita a un castello di nostra proprietà al cui interno vi è Dio che ci attende nella camera da letto, ovvero in un luogo intimissimo, sicchè noi potessimo essere suo amante, ma spesso rimaniamo fuori a chiedere l’elemosina mangiando carrube. Il paradosso starebbe nell’ostinarsi a vivere fuori dal proprio cuore già abitato da Dio.
Ma se il castello di Teresa serve a ritrovarsi, quello di Kafka a perdersi. Nel romanzo di Kafka il protagonista, K., è già perso nella sua perdita identitaria del nome.
Mario Moiraghi, ingegnere nato a Milano nel 1942, ha affiancato alla propria attività tecnica nel campo della gestione delle grandi emergenze, la ricerca storica sulle catastrofi e sulle connessioni con le culture locali, le tradizioni e i miti, sui fenomeni ereticali e sui cavalieri Templari.


PICCOLA CINETECA TEMATICA


Francesco giullare di Dio ROBERTO ROSSELLINI 1950
Nostalghia ANDREJ TARKOSKIJ 1983
Giovanna d’Arco LUC BESSON 1999
Millions DANNY BOYLE 2000

 
Rossellini nel suo Francesco giullare di Dio, aiutato da Fellini, coglie con il suo sentire poetico la letizia del religioso, quel complesso sentimentale non sempre comprensibile alla mente del laico.
La Toscana da tempo scenario assai ricercato per le location cinematografiche, nella diffusiva pratica del Cineturismo, diventa ricerca personale dello spettatore che estende la sua esperienza estetica attraverso la riproposizione mentale del filmico e dell’esperienziale.
Tarkovskij nella sua Nostalghia ha sviluppato la sua scena finale proprio all’interno dell’abbazia, nella casa-cielo di Galgano con la terra umida e fangosa, la pozzanghera che riflette archi e colonne e infine la pioggia e la neve che cade e purifica. Nietzsche scrisse: “Solo quando il cielo puro sbucherà dai soffitti squarciati e giungerà fin sull’erba e sul rosso papavero, voglio tornare a rivolgere il cuore alle sedi di questo Dio”. Per Tarkovskij il Divino che ricalca la mistica russa e prescinde il dualismo, sembra essere proprio quello primitivo della Genesi, dell’unità corpo-anima, fango e anima. Il protagonista si ritrova nell’abbazia scoperchiata tra cielo, acqua, terra e fango. Nella cultura russa l’acqua è materna e divina.
La Giovanna d’Arco di Besson, innamorato del personaggio e della sua interprete, Milla Jovovich, mette in luce il delirante che inquieta, il fervore della fede e della spada
Danny Boyle in una storia che è lezione etica per gli adulti mette in scena un bambino particolarmente attratto dalla vita dei santi in Millions in cui l’attrazione per il denaro diventa il centro narrativo.