IL SALUTO COME FORMA DI CONVALIDA ESISTENZIALE RECIPROCA

ANTONIO BUFANO 2018

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C’è una diffusa incapacità nel Contatto con l’Altro e nell’esistere che passa precisamente per la difficoltà nel salutare come nel ringraziare, due atti sociali sostanziali che connotano profondamente l’essere umani e denotano presenza e maturità all’interno delle relazioni.Per Eric Berne, geniale inventore dell’Analisi Transazionale, una forma di Psicoterapia centrata strategicamente sulla transazione, salutare è essere pronti all’esistere dell’Altro. Nel suo Ciao e poi? parla specificatamente del disagio dell’incontrarsi e nello strutturare un interazione. Stare nella dualità è veramente difficile, in quanto ben presto finiamo per triangolare, ovvero parlare di un terzo assente.

E’ bene non dimenticare che per vivere abbiamo bisogno di contatto, ma anche di scambio e, per di più, non possiamo prescindere completamente dal conflitto. Ma purtroppo questa sembra essere l’era della difesa o, per meglio dire, dell’attacco difensivo, il che spiegherebbe fenomeni come la diffidenza, l’indifferenza e la violenza, nonché psicosomaticamente la pervasività della fenomenologia allergica. Qualcuno è aggressivo fino al sadismo per non sembrare debole e insicuro.

Ma stando al Saluto e al Salutarsi, c’è tutta una tradizione ebraico-cristiana in cui la parola Pace (“Shalom”) con i suoi richiami arabi (“Salam”) è stata usata come forma di saluto per generare un potenziale augurale intenso, ma come è insito nella cultura orientale, c’è un intenzione di condivisione attiva nel gesto del saluto che, qualora rifiutata, deve tornare all’offerente. In Luca 10, 11/13 si legge: “Entrando in una casa rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi”.

In contesti anglosassoni la parola Good-bye è la forma contratta di “God be with you” (“Dio sia con te”), una forma di benedizione dalle origini lontanissime risalente alla prima dinastia babilonese.

Ma è esistito un tempo in cui il salutare e il salutarsi rispondevano a condotte fortemente connotate da eleganza, grazia e rispetto, quando gli umani vivevano comunitariamente in comunità a misura d’uomo, quando il salutare non era subordinato a una conoscenza diretta e a parlare era il gesto e il saluto come evento sociale imprescindibile ed era espresso in forme non verbali nel lieve tocco della mano sul cappello che alludeva allo scoprirsi il capo per cui in quel saluto accennato c’era un tutto che rispondeva al rigore verso regole sociali riconosciute e innegabili e non banalmente un puro gesto di sottomissione.

Oggi, invece, in fatto di abitudini sociali, se si esclude la grave disabitudine al salutare come quando si entra con aria vaga in una sala di attesa evidentemente non vuota, spesso le persone preferiscono intrattenersi lessicalmente in un territorio rassicurante, talvolta ritenuto rispettoso, convenzionalmente corretto, ma fatto essenzialmente di Salve, un tipo di saluto che per quanto in uso nella Roma antica per indicare la Salute, rischia di risuonare come un saluto freddo che potremmo definire condominiale e che richiama più recentemente la parodia di un giornalista televisivo ben noto. Una forma di finta cordialità che rimarca la necessità della distanza e del non Contatto, la chiusura al nuovo, l’indisponibilità alla conoscenza reciproca e, talvolta, perfino aspetti fobici. Per ovviare ai possibili effetti da abuso, tanto varrebbe provare a riutilizzare Vale, anch’esso legato all’idea dello star bene, ma nella sua originalità implicherebbe un impegno più netto verso il coinvolgimento diretto.

Non si tratta, dunque, di definire la non appropriatezza o opportunità di certe pratiche di saluto, che pure rientrerebbero talvolta in forme educate, ma piuttosto sarebbe utile prendere coscienza di un processo di disappartenenza, a tratti impercettibile, di una deriva sociale che genera uno sfondo percettivo e mentale anonimo in cui collochiamo gli altri, mentre, d’altro canto, si rimarca l’isolamento dell’individuo.

Se nel 1969 John Searle, filosofo americano della Mente e del Linguaggio, aveva visto nel saluto e nel suo routinarsi lo svuotamento della sua valenza denotativa, altri autori più recentemente come Farnese (2015) rifacendosi a Wierzbicka hanno sottolineano gli aspetti di benevolenza rivolti all’interlocutore.

I parlanti possono fare scelte lessicali diversificate rispetto al salutare, tendere all’ossequiosità o all’informalità. La soluzione non sta propriamente, però, nell’abbandonarsi banalmente al più informale e confidenziale Ciao, di derivazione veneziana per significare Servo tuo, comportamento certamente più improbabile soprattutto con chi non si percepisce, al momento, alcuna intimità, talora abusato e svuotato.

Alla fine c’è il Buongiorno, una parola piena e nutriente che riempie la bocca e il cuore di chi la pronuncia e di chi la riceve e che evoca l’antica gestualità dall’eco arabo. Nella sua versione completa, la mano tocca in successione torace, labbra e parte centrale della fronte, sicchè il gesto si prolunga in avanti ed evolve in un inchino per comunicare “Ti offro il mio cuore, la mia anima e la mia testa”. Il Saluto diventa così un offerta, e qualora accettata, un dono di Pace e Gioia. Del resto la Salutatio matutina che per i Romani rappresentava il saluto doveroso che i clienti facevano al padrone di casa, era gesto suggestivamente rilevante.

Il Buongiorno, particolarmente apprezzabile anche nella sua forma contratta e univerbata Buondì che, peraltro, evoca la ben nota brioche, è un augurio caldo, un bene durevole, un viatico. E’ una cura alla deriva narcisistica. Compiuto al mattino abbraccia l’intera giornata e suona benaugurale. Per di più associato a un lieve sorriso potenzia sorprendentemente il suo benefico effetto sociale. E’ una carezza come direbbe puntualmente Berne.

I livelli di partecipazione sociali sono spesso troppo frammentari e polari potendo oscillare tra non curanza e sovraeccitazione con punte pericolosamente rabbiose, tra superficialità e difficoltà di accesso alla profondità. Negli scambi sociali le persone possono scaldarsi o lamentarsi perdendo in carica positiva e propositiva. E invece l’Ordinario sociale, nella sua forma minimale, ha bisogno di presenza e puntualità e il salutare deve poter essere un fatto rilevante per tutti, per non cedere alla distrazione, alla sciatteria, alla stereotipicità. Il salutare deve poter sostituire il contatto fisico e la stretta di mano. Simbolicamente equivarrebbe a mantenere costantemente e correttamente idratato un organismo vivente. Come atto unico ed estremamente sintetico richiede forza e convinzione al suo Attore come il gesto di Pace scambiato dal cattolico praticante all’interno del rituale della Messa.

Insomma si tratterebbe in fondo di iniettare più valore semantico-proposizionale al saluto. Perché assuma una forma di promozione sociale convincente.

Nello scambio sociale c’è urgenza di empatia, di creare scenari comunicativi non opachi, finalmente trasparenti. Si tratta di ripensare la propria visione del mondo, una visione che escluda l’aggressività gratuita e includa la Gentilezza e la Gratitudine.

Infine deve poter esserci la possibilità di personalizzare il Saluto, di optare tra “Salute a Te”, come forma di comunicazione e di investimento affettivo nell’Alterità, maiuscolando entità e identità, ma anche “A presto” come formula di congedo per il fascino che emana potendo rimarcare la positività della relazione specifica con quella persona e il tono umorale. In una traduzione dal greco orientale quando l’Angelo apparve a Maria disse: “Rallegrati”.

Perfino l’SMS, forma di comunicazione digitale quanto mai moderna, può godere proprio della sua caratteristica brevità per esprimere a pieno il Buon Giorno, parola magica che non perde affatto la sua magia anche quando viene scritta.