ECCO IL MIO TERAPEUTA

PICCOLO IMMAGINARIO UTILE PER UNA SCELTA ESISTENZIALE
 

Arriva un momento nella vita di ognuno in cui non basta più tutta l’introspezione del mondo, per chi può dire di esserne dotato, per sanare le proprie ferite interne. E’ qui che occorre pensare a un Altro affidabile, qualcuno che sia più di un amico o un amica, un colui o una colei a cui affidare la propria intimità.
A chi, davanti a uno psicoterapeuta, continua a schermirsi scherzando e indicando il bisogno di una terapia per l’altro e non per sé, io sostengo per tutti la bellezza di concedersi nella vita anche solo una seduta sicchè si possa dire “Io c’ero”, o ancor meglio “Ci sono stato”, ci sono stato a parlare del vero sè.

La Psicoterapia nel suo essere un oggetto inevitabilmente pregiudicato, in assenza di vissuti ed esperienze diretti, genera prima di tutto immagini proiettive che meritano una certa attenzione, in quanto rivelatori delle paure al di là dei pregiudizi, perchè andare dallo psicoterapeuta non potrà mai essere come andare dall’ortopedico.

Hyeronimous Bosch, pittore fiammingo dalla grande visionarietà, raccolse un’antica storiella popolare che raccontava di un medico imbroglione che si vantava di cavare la pietra della pazzia dalla testa delle persone e alla fine del ‘400 ne fece uno splendido dipinto in cui si vede il cavatore con l’imputo della saggezza capovolto in testa e un fiore che spunta dalla testa del paziente.
Nella scena c’è una stoltezza diffusa che investe, oltre al paziente, un monaco depositario di un sapere inadatto a cogliere l’inganno e la moglie annoiata che assistono all’operazione.
Nei secoli si giunse alla lobotomia come pratica violenta a testimonianza di un approccio invasivo della cura.

Evidentemente la Psicoterapia non può essere sfavillante nel suo promettere e il paziente moderno è chiamato più che mai a passare dalla diffidenza all’affidamento ben informato, ma il fiore rimane un elemento promettente per una follia quasi necessaria.

Talvolta il Terapeuta può essere oggetto incomprensibile per il paziente con il suo sapere e il suo linguaggio, ma anche il destinatario di una richiesta ambivalente a proposito di cambiamento e non cambiamento.

Il Cappellaio matto, il ben noto personaggio di Alice di Carroll, è il folle, il soggetto farneticante, colui che è assolutamente incapace di ascoltare. Si parla sopra in un flusso verbale inarrestabile in cui l’irrazionale è soverchiante.
Qui anche il tempo è impazzito e tutti rischiano di rimanere incastrati in un Tea party senza fine dove si mortifica il tempo; se il tavolo è sempre apparecchiato, il tè è continuamente versato nelle tazze, ma mai bevuto.
Di fatto molte persone portano in terapia proprio questo; un ripetersi all’infinito senza evoluzione. E al terapeuta si richiede di imparare a stare nel crogiolo senza rimanerne bruciato.

Per quanto il Cappellaio non sia esattamente il portatore di quel Folle utile al terapeuta e alla terapia, quel folle di cui parlava invece Carl Whitaker, geniale terapeuta familiare americano, custode del fuoco creativo in terapia, colui che scrisse penetranti considerazioni notturne, ci informa però della sclerotizzazione degli schemi mentali, un pericolo serio per paziente e terapeuta.
L’assurdo di Whitaker, un sistema intelligente per tenere ben oleata la psicoterapia, non prescinde affatto dal non sense di Carroll, anzi cerca attivamente il movimento e la danza perchè si produca esperienza nuova.

Talvolta chi si accosta alla psicoterapia cerca in realtà la magia, il tocco rapido, la soluzione chimica, una borsa piena di sorprese, un coniglio dentro un cilindro, ovvero il più deresponsabilizzante degli interventi. Sarebbe più opportuno piuttosto che ci si concentrasse sulla magia e la meraviglia della scoperta.

Mary Poppins, la tata perfetta, è creatura non piumata, ma volante che viene dal cielo con il suo ombrellino magico e che risponde a un mandato educativo sostituendosi a un fallimentare genitoriale. E’ per la verità la creatura archetipale che viene dal nulla e scende sulla terra a confortare e aiutare gli uomini, o si dovrebbe dire, i mortali.
C’è abbastanza puer in lei, ma fino a un certo punto, nella sua incapacità di lasciarsi sempre andare e di ridere. E’ erratica come Peter Pan, ma reca in sé quell’affettività giusta che la rende accudente e responsabile nei riguardi dei bambini fino a essere direttiva ed austera. Non può rinunciare al Logos adulto.

Quando Mary Poppins si congeda da tutti, di sè resta una piccola luce, appena più grande, ma simile in tutto a una stella. Nella mitologia greca molti eroi ed eroine come Ercole e Berenice furono trasformati in stelle o costellazioni dopo la morte.
La lezione è appresa e Michael e Jane continueranno a vivere al numero 17 di Viale dei Ciliegi e viverlo come luogo della fantasia e della possibilità.

Qui sembra esserci il segreto di ogni buona relazione terapeutica sicchè si possa evitare la dipendenza dal terapeuta e l’adozione del paziente. Si tratta di lasciare una luce accesa nel paziente sicchè passi nicianamente dal caos alla stella danzante.

Qualcuno vorrà vedere nel terapeuta se non un essere perfettamente perfetto, certamente un essere molto più perfetto del proprio sé, un essere ai limiti dell’eroicità e della superoicità.

John Hancock, personaggio cinematografico puro non mutuato dal mondo dei fumetti, interpreta il supereroico moderno, un supereroico sporco visto che è alcolista e impulsivo e vive in una città simbolica come Los Angeles, luogo del vivere e convivere complesso, un luogo che necessita di un apprendimento sociale speciale, ma che incorpora il materiale e l’immateriale, ovvero l’Umano così com’è.

Il terapeuta nel suo lasciarsi e sapersi disvelare concede prospettive allo sguardo del paziente, squarci per vedersi e sentirsi più vicini. Per Whitaker l’incontro trasformativo è quello che avviene tra due persone, più che tra due ruoli, un incontro faccia a faccia, a faccia nuda, un quid che va ben oltre la facciata.

Nel processo di riconoscimento del sé, nel doveroso guardarsi in faccia, il terapeuta non dovrebbe mai smettere di osservarsi e di preoccuparsi per la propria obsolescenza che limita gravemente e spesso inconsapevolmente la sua efficacia.
A 90 anni Pablo Picasso realizzò tre autoritratti a distanza di poche ore tra loro, il 30 giugno, il 2 luglio e il 3 luglio del 1972. Il volto perse così la sembianza umana e diventò scimmiesca, in un atto regressivo estremo prima della fine.

Ma se lo psicoterapeuta è figura professionale moderna, lo spirito che gli appartiene, ovvero la cura dell’anima, è antica. Se oggi il paziente moderno incerto e disorientato cerca disperatamente certezze nell’autorevolezza indiscussa e indiscutibile del terapeuta fino a generare il luminare, un prodotto narcisistico umano che snobba la relazione per compiacersi solo di sé, Socrate, il ben noto filosofo greco, interprete credibile di un sapere che non smette mai di mettersi in discussione nel rimarcare il suo non sapere è più che mai il modello sano per terapeuta e paziente.
Socrate potè essere efficacemente maieutico in quanto partì, non senza tormento, dall’interlocuzione con il suo demone giungendo a valorizzare l’apprendimento, terreno senz’altro più fertile per la nuova Psicoterapia che tocca terra, si spoglia di un sapere arrogante, che ricorda il prete che si ostinava a parlare latino con l’uomo semplice, e acquista apertura, nonchè una certa gratuità.

La Psicoterapia è un’immaginarsi e uno scegliersi reciproco capace di generare l’imprevedibile, uno scegliersi che si rinnova ogni giorno e che si compie in una esplorazione quasi co-terapeutica così come è meravigliosamente illustrato da Caspar Friedrich, il pittore romantico tedesco che rischiò la depressione eterna per cercare l’Infinito.
Nel suo dipinto Due uomini che contemplano la luna due soggetti ripresi di spalle si concentrano proprio sulla luna, rappresentazione simbolica di tutto un mondo misterioso che attende il suo svelamento.


Roma, 30 Giugno 2020